Iran. Prima di partire

ImageDa alcuni giorni ho censurato la parola Iran. Se qualcuno mi chiede dove andrò in vacanza, esorcizzo il potere evocativo che porta con sé questo nome, sostituendolo con la fatata antica denominazione di Persia. Da una parte, ricerco approvazione nel mio interlocutore, ma devo sicuramente, per un verso interiore, fornire a me stesso un velo di accettabilità rispetto a una destinazione un poco particolare, quanto meno in questi ultimi tempi.

Il quadro politico interno ed esterno del paese è complesso e ha fatto molto parlare di sé. Sono anni che fa titoli il programma nucleare iraniano, contestato dall'Occidente con la grave accusa di avere fini bellici e non pacifici. Nella recente attualità, le elezioni presidenziali del 12 giugno 2009 hanno scatenato gravi proteste, che non si vedevano nel paese da decenni, dai tempi della rivoluzione islamica. Sono culminate in gravi disordini di strada, brutalmente repressi, soffocati col sangue di tanti innocenti.

C'è stata poi una crisi diplomatica con l'Europa, che ha perfino minacciato di ritirare i suoi ambasciatori, dopo che alcuni impiegati dell'ambasciata inglese erano stati arrestati, interrogati e reso una “confessione” di colpa nel fomentare i disordini. Da pochi giorni è iniziato il processo alle centinaia di persone arrestate durante le sommosse, mentre il presidente veniva investito come da programma di un nuovo mandato dalla Guida suprema, Ali Khamanei, il vero detentore del potere. Ma la cerimonia è stata boicottata dall'opposizione.

Solo in questi ultimi giorni sembra esserci un distendimento della crisi, sebbene sotto le ceneri la brace sia ancora accesa. Le ferite aperte con la repressione da parte dell'ordine costituito sono state profonde e hanno fatto nascere coscienza sia all'interno che al di fuori del paese che esiste un Iran diverso da quello che si presenta ufficialmente, fatto di tante menti attive che pensano e sono stanche di subire. Scortato da un senso di solidarietà internazionale, si è rivelato un volto nuovo di questo popolo, una grande fetta del quale è contrapposto ai suoi governanti, per non dire a un sistema di governo, e non lo appoggia più. Vuole grandi cambiamenti e rapidi.

Tutte queste vicende hanno avuto un riflesso diretto su di me, non soltanto per la valutazione sulla possibilità del viaggio, ma per un verso molto pratico per quanto riguarda l'ottenimento del visto. Mai ho dovuto penare tanto per un timbro sul passaporto. Dalla fine di giugno il visto all'arrivo in aeroporto è stato praticamente escluso, anche se non in via ufficiale. Per prudenza ho deciso quindi di chiederne uno in anticipo tramite il canale, di per sé già complicato, che prevede un percorso ad ostacoli attraverso un'agenzia di viaggi accreditata, il Ministero degli Affari esteri iraniano e poi il consolato in Italia.

ImageL'agenzia ammanicata con il consolato di Milano chiede € 270 per la pratica, che include obbligatoriamente la prenotazione di tre notti in un albergo a 4 stelle a Tehran. Naturalmente non mi sono piegato a queste condizioni. Un'agenzia di Shiraz, invece, mi ha addirittura sconsigliato di procedere, visto l'altro numero di dinieghi in questo periodo. Infine con un'agenzia di Tehran sono riuscito a concludere a grande fatica ma spesa contenuta la procedura che culmina con l'emissione del famoso codice di autorizzazione da parte del Ministero degli Affari esteri.

Questo viene separatamente inviato al consolato scelto e qui bisogna rivolgersi per depositare il passaporto e ritirarlo poi vistato. Ma al momento del ritiro, ho scoperto con delusione che il mio visto aveva validità di soli 15 giorni contro i 30 richiesti, cosa che mi obbligherà a ripetere l'esperienza della burocrazia, stavolta direttamente sul posto, per chiedere l'estensione.

Ho tenuto osservata la situazione politica molto da vicino, con ammirazione verso chi combatte per la libertà, mentre mi interrogavo se fosse il caso di partire o no. Il viaggio era programmato da tempo e ci tenevo molto. Sognavo la Persia, avevo letto dell'Iran moderno, visto film, ero pronto per partire.

Negli ultimi giorni, solo sentire pronunciare la parola Iran mi metteva in apprensione. Su BBC Arabic, che solitamente offre una dettagliata trattazione delle questioni mediorientali, pregavo tra me e me che non venisse proprio pronunciata, perché ogni volta che accadeva, era in relazione a qualche involuzione della crisi o qualche novità poco incoraggiante.

L'altra sera, però, si è sciolto il nodo in me e mi sono sentito improvvisamente rilassato e convinto, forse sentendo intorno a me un'aria di implicita approvazione in famiglia. Non si potrà mai immaginare quanto pesi inconsciamente, anche se lo accettiamo con un sorriso a denti stretti, quello sguardo imbarazzato, la battutina spiritosa o il commento preoccupato, alle orecchie di chi sta valutando una scelta difficile. Sono atteggiamenti che fanno dubitare, frenano e non spingono a osare, anche se in fondo non c'è cattiva intenzione.

In generale l'ambiente culturale in cui uno vive permette o addirittura stimola alla realizzazione di un progetto. Mi posso solo immaginare il clima di euforia di certi periodi culturali splendidi, in cui tutta la comunità di dotti faceva a gara per trovare la formula risolutiva di un'equazione matematica o realizzare una scoperta scientifica o trovare una nuova rotta di navigazione per terre sconosciute. Ma nella società mediana di oggi sembra che la vita debba svolgersi tutta sotto il massimo controllo, in ogni aspetto, lungo percorsi già definiti. Il che è certamente un'illusione, perché l'imprevisto è di per sé irriducibile e sempre in agguato; la razionalità della nostra epoca cerca di ridurlo ai minimi termini e si illude di eliminarlo.

ImageLa forza per viaggiare non l'ho certo trovata nella mediocrità che mi circonda, in una concezione di vita programmata come un'agenda e fatta di vacanze comprate a pacchetto per non avere sorprese, nell'idea di un tempo che si sviluppa per tappe precise senza grandi variazioni. Questo percorso a ostacoli di una certa difficoltà (traducasi "la vita") permette al massimo come variante una competizione per vedere chi la percorre in tempi migliori o con migliori risultati. È questo lo spazio che ci concediamo per correre dietro ai nostri sogni? È ben poca cosa: all'interno di questa pista c'è troppo poco margine per la fantasia.

La forza per agire la trovo nel ricordo di tutte le persone che ho incontrato e conosciuto che non esiterebbero ad affrontare un viaggio così, anzi lo desidererebbero tanto da non vedere l'ora di intraprenderlo con gusto di scoprire cose nuove, diverse, lontane e aprire la mente. Questo deve essere il mio atteggiamento, invece di essere influenzato dalla reazione di disagio o di incomprensione di fronte a un grande paese come è stata la Persia e, forse dirò dopo averlo conosciuto, come lo è l'Iran di oggi. Questa reazione non fa che coprire la paura di ciò che è diverso e fa sì che l'uomo si incarceri entro limiti culturali e spaziali autoimposti.

Ma forse non sono tutti da biasimare quelli che hanno un'idea negativa su questo paese, perché il problema sta nel modo in cui l'Iran si presenta oggi sulla scena mondiale e ancor più come ci viene presentato dai nostri mezzi di informazione. In fine dei conti, non è altro che un paese che tiene testa a una prepotente egemonia mondiale e si propone come un forte paese non allineato. Ma per capirlo, quanti di noi hanno provato a cambiare la logica e si sono sforzati di osservare la realtà da un punto di vista diverso, il loro? Siamo tutti pronti a giudicare secondo i criteri che ci vengono propinati.