Rovine di Persepolis

Sono in piedi di buon'ora. Con un taxi raggiungo la stazione degli autobus e prendo un savari per Marvdasht. L'autista è un giovane di 21 anni e trasuda da ogni suo poro una simpatica propensione a comunicare. Si sforza di recuperare qualche parola di inglese dai ricordi dei suoi giorni a scuola.

Forse non aveva mai pensato di mettere in pratica questo sapere, ma ora rimpiange di non averlo coltivato. Si spazientisce e si sente inadeguato, ma sono io il primo a essere fuori posto non parlando il farsi. Eppure, l'approssimazione dei suoi ricordi non lo blocca nel desiderio di esprimersi e di stabilire un contatto: mi fa tenerezza. Dietro, gli altri passeggeri stanno in silenzio religioso ad ascoltare i nostri scambi di battute fino a che arriviamo proprio davanti all'ingresso di Persepolis senza mi faccia pagare il supplemento per il tragitto dalla città.

Arrivando, si vedono i resti della tendopoli disposta a forma di stella che lo Shah fece costruire nel 1971 per festeggiare i 2500 anni di monarchia persiana. Con queste celebrazioni si tirò la zappa sui piedi: i capi di Stato furono ospitati in tende lussuose munite di aria condizionata e ogni comodità, ma la notizia dei cibi prelibati annaffiati da litri di bevande costose (e vietate dalla religione musulmana), in un quadro di lusso impudente che contrastava con le necessità del popolo trapelò e innescata dal fuoco delle parole di Khomeini, si accese la miccia della rivoluzione.

Ora il sole è gentile, ma si appresta a salire nel cielo per invadere prepotentemente la grande spianata su cui si ergono i resti solitari della grande capitale achemenide. Si arriva alla piattaforma superando una scalinata monumentale dai gradini bassi e lunghi che obbliga a un passo lento. In alto si innalza l'imponente Porta delle Nazioni, che serviva da ingresso monumentale. È vigilata dai profili di due tori dalla testa di uomo barbuto a ovest, mentre a est si profila un'altra coppia di bovini alati con teste persiane.

Ovunque sono pietre scolpite con rilievi evocativi, che nella semplicità del motivo trasmettono un senso di maestà e potenza. Ricorre l'immagine del leone che sbrana la gazzella immobilizzata sotto le sue poderose zampe. La sua bocca sbrana e si alza dalla preda senza pietà: sembra godere non solo della carne che dilania, ma della sua stessa forza animale che gli ha permesso di sopraffare una bestia più debole. Il messaggio ai popoli sottomessi non poteva essere più chiaro.

Su altri pannelli sono raffigurati i rappresentanti dei paesi conquistati che sfilano ordinatamente in una teoria a più livelli, portando in dono i prodotti delle loro terre. È un gioco di osservazione cogliere i dettagli dei costumi, dei tratti e dei doni che li identificano come gente venuta dai quattro angoli di un impero immenso, a rendere omaggio all'imperatore. Gli facevano atto di sottomissione nel giorno del No Ruz, la festa zoroastriana che segnava il tempo della primavera e che oggi, pure in un Iran sciita ortodosso, continua a festeggiarsi, con grande disappunto dei religiosi che governano.

ImageTante colonne solitarie si alzano nude in un paesaggio ancora più spoglio, riarso dal sole, epitome di antichità e di passata magnificenza. Ogni prospettiva abbozza un nuovo quadro affascinante, popolato di pochi turisti, praticamente tutti iraniani, che non affollano il luogo con smania consumistica di visitare, ma gli rendono rispettoso omaggio.

A qualche chilometro di distanza da Persepolis, in una parete verticale della montagna a Naqsh-e Rostam, sono tagliate le tombe rupestri dei sovrani achemenidi. Comunicano con potenza disumana il senso di solennità e di mistero della morte a cui anche il sovrano si è dovuto piegare.

Come si usava anticamente, i corpi venivano deposti nella camera mortuaria aperta, solo dopo essere stati spolpati dagli avvoltoi che si cibavano delle spoglie nelle torri del silenzio. L'usanza discende dal rispetto che i zoroastriani portano per la terra, uno dei sette elementi creati da Ahura Mazda e affidati all'uomo, il quale dovrà restituire al Creatore alla fine dei tempi un mondo in stato di purezza.

Oggi in Iran sono rimasti esempi di torri del silenzio, ma non sono più utilizzate. Diverse comunità zoroastriane emigrarono in India all'epoca della conquista islamica e a Mumbai rimangono proprio esempi di torri del silenzio ancora in uso, anche se è la popolazione urbana di avvoltoi a essere in crisi, insidiata dall'inquinamento ambientale.

ImageDi rientro a Shiraz, passeggio per il mercato Vakil. Si vedono alcune donne bandari, della costa sul Golfo Persico, che indossano il burqa, una specie di maschera ornamentale di metallo che forma una protezione ad angolo davanti al naso e alla fronte. È molto caratteristica e ha il sapore di una misteriosa armatura medievale.

Su una strada di passaggio, vengo accostato da due ragazze vestite non diversamente da tutte le altre, con il foulard d'obbligo sui capelli. Quella che mi rivolge la parola, lo fa in inglese. "Ti va di bere un tè a casa mia?", mi dice in un tono più che normale. Mi ci vogliono alcuni istanti per realizzare che con l'irresistibile tentazione di una tazza di tè stanno in realtà adescando clienti.

Essendo domani venerdì, non potrò rinnovare il visto, un vero peccato perché pare che la procedura sia particolarmente semplice a Shiraz. Ho comunque alcuni giorni prima della scadenza e cercherò di farlo nella prossima città. Domani, quindi, mi rimetterò in strada.