Delusione di Acaba

7 aprile - Ho deciso di partire per Aqaba con il bus delle 8 e ci sono con me anche i 4 israeliani che attraverseranno il confine per rientrare a casa.

Arriviamo alle 10. Scelgo un albergo dove con sommo piacere incontro quei due simpaticoni tedeschi; però c'è anche il francese Claudio, con cui nel pomeriggio passo un'ora parlando mentre si mangia uno shawarma e io sorseggio un tè nella semioscurità della stanza in cui il responsabile dell'albergo inganna il tempo appiccicato alla televisione che trasmette film e commedie egiziane, interrotto di tanto in tanto da qualche cliente che si presenta al banco.

Esco per mangiare un boccone e incontro i canadesi che stanno per tornare in Israele. Mi intrattengo un po' con loro e mi dicono di aver terminato la visita di Petra alle 20. Poi ci lasciamo definitivamente e la signora dice: "Remember what I told you!"

Nel pomeriggio crollo di stanchezza e per un'ora abbondante rimango disteso appisolato sul letto. Poi esco, ma il tempo è strano: il vento ha sollevato una finissima polvere del deserto che pare una nebbia di sabbia. Fa apparire il sole come un disco rovente dai contorni sfumati e questa luminosità biancastra diminuisce la visibilità in lontananza tanto che le montagne appaiono come dietro una cortina. Anche gli occhi risentono di questa polvere che li fa lacrimare e pizzicare.

Alla sera la città, moderna e mondana, si illumina e si riempie di gente venuta a passare il fine settimana qui. Molte sono le scolaresche in gita, molti anche i turisti stranieri. Il posto adesso si riscatta per l'aspetto deludente delle spiagge che avevo osservato oggi, certamente non le migliori, trovandosi al centro della città ed essendo aperte al pubblico. Su una spiaggia ho addirittura visto razzolare galline!

Ho osservato il sistema di irrigazione a canali che vengono di volta in volta sbarrati e riaperti per allagare piccoli orti in cui è suddivisa la superficie coltivata a ridosso della spiaggia. Tanti bordi rialzati di terra dividono questi rettangoli regolari che disegnano una geometria di forme e di colori di terra bagnata o secca, di piante in germoglio o in foglia, di ombre disegnate dalle foglie delle palme al di sopra.

Ceno sulla terrazza di un ristorante dove il cameriere egiziano sembra uscito dai film in bianco e nero che il suo paese ha prodotto in abbondanza. È leggermente teatrale nel suo fare e distinto. Mi dice di essere stato in servizio su vari bastimenti diretti verso porti italiani, Trieste, Venezia. Secondo lui, l'Italia dovrebbe ritirare le truppe dall'Iraq e parliamo un poco di questo argomento e dei risultati delle ultime elezioni regionali. Conclude che sono una persona onorevole (se non l'avessi già saputo, ne sono onorato).

In albergo trovo Claudio e gli propongo di bere un caffè con me fumando un narghilè sotto le piante di un caffè all'aria aperta. Ci imbarchiamo in un'interessante discussione sulle differenze di usanze tra i vari paesi e sulla possibilità di giudicare secondo un criterio nostro. Siamo sporadicamente interrotti nella conversazione dalle intrusioni di un vicino di sedia giordano, che ha studiato in Italia e parla italiano con una dizione biascicata, penso per effetto di qualche bicchiere di troppo.

Verso mezzanotte in previsione della levataccia di domani propongo di ritirarci, ma passando davanti al venditore di succhi e frullati non resisto alla tentazione e ci fermiamo nuovamente per una carica di vitamine. Intanto si fa l'una. All'albergo salgo sulla terrazza dell'ultimo piano per ammirare il panorama notturno di Aqaba.

Claudio mi sconsiglia di partire per Wadi Rum domani perché è venerdì e nessuno finora è stato in grado di confermarmi dell'esistenza di trasporti per quella destinazione, né a maggior ragione degli orari. Inoltre se volessi fare ritorno ad Aqaba, potrei non trovare più un letto per la gente affluita in questa città, ma Claudio mi assicura che potrò usare il letto in camera sua in caso di necessità. Partirò.