Zanjan e Soltaniyeh

Image27 agosto. Scendo mezz'ora prima delle 8, l'ora di chiusura, per chiedere una tazza di tè da bere con il dolce di noci di Mashuleh. Il mio occhio cade sul quadro dei prezzi dietro la scrivania e mi accorgo che il vecchietto gioviale ma furbetto mi ha fatto pagare più di quanto indicato. Niente di che, tradotto di euro, ma per principio glielo faccio notare.

Si difende dicendo che sono prezzi vecchi e grugnisco qualche frase di malcontento, ma non me l'ha data a bere. Dopo la colazione, avendo recuperato il passaporto perché non sia un ostaggio nelle sue mani, faccio la voce grossa. Pretendo la restituzione della sua cresta; lui si piega all'evidenza e me ne vado sostenuto fingendomi offeso, mentre invece sono solo divertito. In realtà questo fenomeno mi è successo parecchie volte nei ristoranti e nei bar e non riesco a tollerarlo. Ogni volta che me ne sono accorto, ho protestato e ho ottenuto una revisione del conto. Non mi piace essere trattato da turista, per intenderci, o quel tipo di turista che credono.

Prendo un savari per Soltaniyeh. Lungo la strada una colonna di fumo si innalza da un punto in cui sono raggruppati alcuni veicoli. È un brutto incidente, una Paykan è orribilmente danneggiata e l'abitacolo è stato riempito di sabbia, forse per scongiurare un incendio o semplicemente perché riversatasi dal carico del camion con cui si è scontrata. La guida in Iran è spaventosa e attraversare una strada in ogni città è un'esperienza che fa venire i capelli bianchi. Lungo le provinciali, poi, si vede di tutto, velocità sfrenata, sorpassi, frenate improvvise, un macello. Uno spettacolo come questo fa certamente riflettere.

La grandiosa cupola del mausoleo di Il-khan Öljeitü emerge sullo sfondo delle montagne. Fu costruito nel periodo ilkhanide, un khanato mongolo stabilito in Persia nel XIII sec. come parte dell'impero mongolo a seguito delle campagne di Gengis Khan. Anche l'interno, sebbene puntellato da un reticolo incredibile di ponteggi che si innalzano fino ai suoi 50 m di altezza, riesce a essere impressionante e così lo sono i due piani superiori che si raggiungono inerpicandosi per una stretta scala.

Sto per uscire quando una zelante studentessa universitaria che lavora come volontaria si offre di darmi informazioni. In realtà avrei già letto sulla guida tutto ciò che bisogna sapere circa il mausoleo e avevo anche apprezzato lo sforzo che hanno fatto per produrre un foglietto illustrativo con un testo in inglese così sgrammaticato da risultare per lo più incomprensibile. Tuttavia non mi sembra carino deluderla e lei mi prende in carico. Ascolto dalla sua voce le misure della cupola, tanto in altezza quanto in diametro, fingendo di stupirmi per queste cifre che nella sua visione sembrano riassumere tutto il significato dell'opera. Per me, invece, sono numeri sterili che non mi istruiscono sulla storia e la cultura di questa opera, né possono sostituire la contemplazione emozionale della mirabile costruzione che ci sovrasta.

Lei è vestita interamente di nero e si aggiusta ripetutamente con un movimento nervoso e meccanico il chador. Noto che questo accessorio prevede anche un laccio per tenerlo legato sotto il mento, non sia mai che una folata di vento scopra un centimetro di pelle più del dovuto. Tuttavia, nonostante l'apparenza così castigata, la ragazza è molto spigliata e mi chiede di poter sfogliare la mia guida.

Ci sediamo così su due sedie e si mette a raccontarmi di un gruppo di italiani venuti recentemente in visita. Li aveva adottati come ha fatto con me; erano dirigenti d'azienda, persone in carriera, ma il loro inglese, mi confessa inorridita, lasciava proprio a desiderare. Nel pronunciare queste parole, alza l'indice per aria a mo' di rimprovero per sottolineare la gravità del fatto e ci aggiunge anche uno sguardo inclinato mentre allontana il capo, per osservarmi di sbieco e prendere distanza tanto idealmente quanto fisicamente da questa situazione incresciosa. È un tipo deciso e mi diverte ascoltarla.

ImageVa detto peraltro che in Iran la diffusione dell'inglese di potrebbe proprio dire capillare. Quante volte mi sono accostato a qualcuno chiedendo "Shoma inglisi baladin?" per ricevere in tutta risposta, dopo lunga pausa di riflessione, una negativa o un'affermativa, ma in ogni caso sapevo che la risposta indicava una conoscenza praticamente nulla dell'idioma internazionale.

Torno a Zanjan in taxi collettivo e mi imbosco in un ristorante per mangiare. Durante il ramazan sembra di accedere a bische clandestine e ci si entra quasi con un senso di colpa, ma dentro si trova sempre qualche anima perduta che non rispetta il digiuno, per me utili complici alla mia disobbedienza.

Sulla piazza dei taxi ne trovo uno diretto per Takab, proprio quello che mi serviva. Appena si mette in marcia capisco di cosa dovrò soffrire nelle prossime due ore. L'autista si lancia sulla corsia con una rincorsa sfrenata in discesa poi, presa la velocità, la mantiene sull'esile nastro d'asfalto che attraversa i dolci e affascinanti rilievi verso il Kordistan. La velocità di crociera è eccessiva rispetto al tipo di strada, per fortuna non molto trafficata e l'immagine dell'incidente di stamattina mi torna davanti agli occhi come una sorgente luminosa osservata a lungo e rimasta impressa sulla retina.

L'autista ha un modo tutto suo di guidare: per lui semplicemente le corsie non esistono. Un terzo del tragitto lo percorre nel senso di marcia, l'altro terzo nel senso opposto e l'ultima parte a cavallo tra le due corsie. Per oltre 200 km di percorso in poco più di due ore mi tengo stretto alla maniglia con l'unica consolazione di un panorama di affascinanti campi dorati sotto un sole splendente. I paesaggi sono stupendi, montagne e vallate, villaggi di epoche perdute, colori caldi di terra ocra, di campi di paglia, tutte le sfumature dipinte dal pennello del tempo e delle stagioni. Molti sono gli enormi covoni di fieno accatastati sui tetti delle case.

A Takab prendo un letto nella stanza comune di una musaferkhaneh che mi piace da matti. La sala da pranzo a cui si accede dalla strada ha tavoli di plastica ed è piastrellata di bianco, giallo e verdino. Alcuni riquadri portano decori floreali o l'immagine dell'imam Ali. Due ragazzi e il padre gestiscono il posto e solo il padre conosce due parole di inglese.

Per le strade si vedono i costumi curdi degli uomini che prevedono pantaloni a sbuffo stretti alla caviglia e una banda alla vita. Poi una fascia sul capo, a volte bordata da una frangia. In effetti questa città non ha nulla di persiano, è tutta azera e curda.